Scrive per noi Monia, mamma di un bambino nato con una malattia genetica rara e volontaria di Fondazione Telethon.

Un’esperienza nuova, per questo mi ci sono tuffata senza troppe esitazioni. È la prima volta che partecipo come volontaria alla “Campagna di Primavera” promossa da Fondazione Telethon a sostegno della ricerca nello studio delle malattie genetiche rare.

Perché Telethon regala da trent’anni futuro a tanti bambini e a chi vuole loro bene, famiglia in primis, e poi tanti amici.

Ho scelto di diventare volontaria per contribuire di persona e non più per sentito dire o mettendo “solo” mano al portafogli. Vivo la quotidianità di una di queste malattie con uno dei miei figli e credo molto nella ricerca scientifica. 

Questo fare volontariato significa sensibilizzare le persone, nel tentativo di creare una comunità consapevole che insieme si può. Si può condividere la sofferenza, si può condividere un sorriso, si può (si deve) condividere la speranza.

Quest’anno per la distribuzione della “Campagna di Primavera”, mi sono avvicinata al mondo social: Facebook, Instagram, Whatsapp. Anche la “Gazzetta di Parma” ha raccontato della mia personale iniziativa di raccolta fondi a favore delle persone affette da malattie genetiche rare. Certo, occorre un po’ di impegno, tentando di utilizzare una comunicazione semplice, come forse sto usando anche adesso. Pure accattivante, magari. La foto della scatolina è simpatica già di per sé, ma se aggiungi un testo carino, non legato al marketing, ma tipo “Il dolce non è lo zucchero, siamo noi. E siamo adatti anche per diabetici” è più probabile riuscire a vendere una scatola, anziché scrivere “Il nostro cuore in un biscotto”, che è anche vero, ma io la trovo più banale. Così diverse persone mi hanno scritto, hanno dato il loro contributo, addirittura ringraziando me perché non erano a conoscenza della sindrome che ha mio figlio (che è in effetti è poco divulgata dai mass media). E a proposito di mass media, mi sono rivolta al giornale della mia città non solo perché io mi muovo nel locale, nella mia zona, ma perché la Gazzetta di Parma è sempre stata sensibile a questi temi. Non tutti i giornalisti sono così, lo sappiamo, io ho avuto la fortuna di incontrarne uno che mi ha saputo ascoltare. Un pizzico di fortuna ogni tanto ci vuole, non credete?

Ringrazio di cuore le persone che mi hanno sostenuto: spero di essere stata anch’io un po’ di aiuto, trasmettendo l’importanza della ricerca.

Voci delle famiglie